La
tragicità del rapporto tra colpa e scelta
E
il disprezzo peggiore era per Zucenko, un prigioniero di guerra in
servizio all'ingresso della camera a gas del turno del mattino. Aveva
sempre stampato sul viso una specie di sorriso puerile, e perciò
odioso.[...] (Chmel'kov) Aveva scelto di vivere, non c'era altro che
desiderasse, ma le morti a cui cercare scampo erano almeno dieci: non
voleva morire di fame o di freddo né di diarrrea emorragica, non
voleva finire con nove grammi di metallo in testa, non voleva
gonfiarsi per un enfisema né lasciare che il cuore gli si riempisse
dell'acqua che gli saliva su dai piedi. Non era un criminale, lui,
prima faceva il parrucchiere a Kerc e nessuno aveva mai avuto da
ridire sulla sua persona, né i vicini di casa, né i padroni al
lavoro, né gli amici con cui beveva vino, mangiava pesce affumicato
e giocava a domino. Non aveva niente in comune con Zucenko, pensava.
Certe volte, però, gli pareva che tra loro ci fosse un'unica, minima
differenza: l'umore con cui andavano a lavorare . E cosa poteva
importare , a Dio e agli uomini, che uno fosse allegro e l'altro no?
Il lavoro restava lo stesso.
Gli
sfuggiva una cosa, tuttavia. Zucenko non turbava perché era più
colpevole di lui. Zucenko gli faceva orrore perché era nato mostro,
e questo lo scagionava. Lui, invece, Chmel'kov, era nato uomo, non
mostro.
Capiva
confusamente che con i nazisti per chi voleva restare uomo la svelta
era semplice: non la vita, ma la morte.
da Vita e destino
di
Valilij Grossman
Adelphi
2011
Chmel'kov
è turbato perché ritiene che Zucenko, nato mostro, merita di essere
scagionato mentre lui, invece, era nato uomo.
Nel
compiere un'azione riprovevole, la colpa è inversamente
proporzionale alla bontà dell'indole individuale?
Fino
a che punto la paura può giustificare certe scelte?
Basta
lo spirito con cui si compie un'azione, che si sa essere riprovevole,
per scagionare dalla colpa?