giovedì 9 luglio 2020

ROMA ED I SUOI COMPOSITORI: G. PETRASSI " CORO DI MORTI NELLO STUDIO DI FEDERICO RUYSCH"

ROMA E LA MUSICA

GOFFREDO PETRASSI
(Zagarolo, Roma 1904 – Roma 2003)

Trasferitosi a 7 anni a Roma,

Leopardi (1798-1837) e Petrassi (1904-2003), letteratura e musica
"Una meditazione sul destino dell'uomo e sul fine ultimo dell'esistenza" secondo quanto affermato da Petrassi stesso circa la sua visitazione di questo famoso brano tratto dalle Operette morali del Leopardi.
Connubio tra filosofia in versi dell '800 e musica di uno dei maggiori del '900, iniziato nel 1940 con l’entrata in guerra dell’Italia e terminato il 6 giugno 1941.
Dalla tragedia della guerra giunge alla constatazione dell'impasse dei rapporti umani nella società che ha prodotto il fascismo. Contrappunto di due elementi in un discorso su due piani: il coro umanissimo nel suo commosso espandersi , l'orchestra che esclude ogni ammorbidimento impressionistico agendo con bruschi scatti.
L'uomo reale, il coro d'uomini carico di storia che procede in mezzo a un paesggio stravolto e crudele.
La solitudine traspare dal finale in dissolvenza.

Link ai video dell'esecuzione musicale con testo:

Goffredo Petrassi: Coro di morti (1941) 1/2
Goffredo Petrassi: Coro di morti (1941) 2/2

CORO DI MORTI NELLO STUDIO DI FEDERICO RUYSCH
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura,
Lieta no, ma sicura
Dall’antico dolor. Profonda notte
Nella confusa mente
Il pensier grave oscura;
Alla speme, al desio, l’arido spirto
Lena mancar si sente:
Così d’affanno e di temenza è sciolto,
E l’età vote e lente
Senza tedio consuma.
Vivemmo: e qual di paurosa larva,
E di sudato sogno,
A lattante fanciullo erra nell’alma
Confusa ricordanza:
Tal memoria n’avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Il rimembrar. Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
Cosa arcana e stupenda
Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual de’ vivi al pensiero
L’ignota morte appar. Come da morte
Vivendo rifuggia, così rifugge
Dalla fiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura;
Però ch’esser beato
Nega ai mortali e nega a’ morti il fato